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Una dimora inviolata dei principi d’Oriente: eccezionale scoperta a San Giuliano di Barbarano Romano

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Rinvenuta una tomba etrusca sigillata risalente alla fase terminale dell’Orientalizzante antico: corredo intatto, ritualità complessa e prospettive inedite sull’aristocrazia funeraria del VII secolo a.C.


In un settore ancora parzialmente inesplorato della necropoli rupestre di San Giuliano, presso Barbarano Romano, il sottosuolo ha restituito un documento archeologico di eccezionale integrità e rilevanza. Si tratta di un tumulo funerario intatto, databile alla fase finale dell’età orientalizzante (fine VII secolo a.C.), emerso nel contesto delle campagne di scavo in corso sotto la direzione della Baylor University (Texas), con autorizzazione e supervisione del Ministero della Cultura. Il ritrovamento interessa l’area del Caiolo, uno dei nuclei funerari più suggestivi del vasto plateau tufaceo che costituisce il comprensorio sepolcrale di San Giuliano.

La tomba, di tipologia a camera con accesso sigillato da una lastra in pietra, si configura come un unicum per stato di conservazione e integrità strutturale. Al momento dell’apertura, condotta secondo rigorosi protocolli di tutela e documentazione, si è immediatamente compresa la straordinarietà del contesto: il corredo, disposto secondo criteri rituali chiaramente leggibili, comprende numerosi esemplari di ceramica fine dipinta in stile etrusco-geometrico, disposti lungo il perimetro della camera e in prossimità del letto funerario sinistro, sede primaria della deposizione.

Particolarmente rilevante risulta un vaso, collocato in posizione liminare rispetto all’accesso della camera, il cui ruolo pare essere strettamente connesso a pratiche di carattere apotropaico o cerimoniale, forse come oggetto di transizione simbolica tra mondo dei vivi e dei morti. L’insieme ceramico testimonia una selezione curata di forme e decorazioni, con prevalenza di anfore, oinochoai, bacili e kyathoi, tutti ascrivibili a un orizzonte artigianale di elevata qualità, probabilmente prodotto in ambito locale sotto influenza protocorinzia.

La scoperta assume valore ancor più rilevante per la presenza di elementi in bronzo conservati in situ, fra cui spiccano ornamenti personali (fibule, anelli, forse anche un cinturone a placche) e un bacile deposto sul letto funerario: tali oggetti, ancora nella loro collocazione originaria, offrono un’opportunità rara di lettura diretta dei gesti di deposizione e delle dinamiche simboliche che regolavano il passaggio all’aldilà. La perfetta conservazione della stratigrafia rende inoltre possibile un’analisi approfondita delle pratiche funerarie, delle gerarchie spaziali interne alla camera e del ruolo del defunto nella comunità d’appartenenza.

È in corso in queste ore la documentazione tridimensionale e fotogrammetrica dell’intero contesto, passaggio preliminare imprescindibile all’avvio dello scavo stratigrafico vero e proprio, che sarà condotto in modalità microstratigrafica per isolare ogni singolo gesto deposizionale. L’equipe, composta da archeologi e specialisti in archeometria, tafonomia e ceramologia, sta inoltre procedendo alla schedatura analitica del corredo mobile, in vista di una successiva campagna di analisi chimico-fisiche e confronti tipologici.

L’integrità della tomba costituisce una rarità assoluta nel panorama delle necropoli rupestri etrusche dell’Etruria meridionale interna, frequentemente interessate da violazioni antiche. La struttura sepolcrale, modellata direttamente nella banca tufacea, mostra un’accurata progettazione architettonica, con soffitto piano e pareti regolarmente squadrate. L’ingresso, protetto da una soglia rientrante, testimonia una volontà precisa di isolare la camera dal mondo esterno, conferendole un carattere sacrale e definitivo.

La cronologia attribuita alla tomba — ultima fase dell’Orientalizzante (ca. 630–580 a.C.) — si basa su criteri ceramologici e stilistici, ma sarà confermata da future datazioni C14 su materiali organici eventualmente presenti (residui alimentari, resti lignei, tessili). Tale datazione colloca la sepoltura in un momento cruciale della formazione dell’aristocrazia etrusca, quando le élite locali si appropriavano in maniera sempre più consapevole dei linguaggi simbolici del potere, mediatizzati da contatti mediterranei (fenici, greci, italici) e rielaborati in forme identitarie locali.

L’area del Caiolo, già nota per la presenza di sepolture monumentali e tombe rupestri con architetture complesse, si conferma così un contesto privilegiato per lo studio della strutturazione sociale etrusca in epoca preclassica. In particolare, il tumulo rinvenuto permette di indagare non solo la costruzione del rango sociale attraverso il corredo, ma anche la topografia mentale del culto dei morti, il rapporto tra architettura e ritualità, la sintassi degli oggetti come codice simbolico e performativo.

In prospettiva, lo scavo — che si prevede procederà per tutta l’estate 2025 — potrà fornire dati utili anche sulla dimensione antropologica della morte etrusca: il corpo, i resti ossei, eventuali tracce di combustione, pigmentazioni o manipolazioni rituali potranno restituire indizi sull’età, il sesso, le condizioni biologiche e il trattamento post mortem del defunto, ma anche sulle dinamiche familiari e sociali che presiedevano alla monumentalizzazione del sepolcro.

Il progetto, sostenuto anche da partner internazionali e da un gruppo di ricerca multidisciplinare, si inserisce in una più ampia strategia di valorizzazione scientifica e museale dell’area archeologica di San Giuliano, recentemente oggetto di rinnovata attenzione da parte delle istituzioni locali e nazionali. La scoperta sarà oggetto di un primo studio preliminare a firma della Prof.ssa Carol Meyers (Baylor University), e presentata in un convegno internazionale in autunno.

La tomba, che da oltre 2600 anni custodiva silenziosamente la memoria di un ignoto protagonista dell’aristocrazia etrusca, torna oggi a parlare con una voce integra, non mediata da violazioni o riscritture. È, a tutti gli effetti, un evento archeologico che restituisce non solo oggetti, ma gesti, intenzioni, significati. Una soglia aperta tra due mondi, emersa intatta dall’ombra del tempo.

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Scritto da
Davide Oliviero -

Laureato in discipline umanistiche presso l'Università di Bologna sotto la guida del Professor Umberto Eco, ha avviato la sua carriera nell'archeologia classica, concentrandosi sulla drammaturgia greco-romana. Il suo interesse per il design lo ha spinto a seguire un corso triennale in design d’interni, continuando nel contempo a lavorare nel campo archeologico. Col tempo, ha sviluppato una passione per la scrittura e la musica classica, che lo ha portato a recensire opere liriche per 14 anni in teatri prestigiosi come il Teatro alla Scala, il Covent Garden e l’Opéra di Parigi. Ha inoltre curato contenuti culturali e musicali per diverse pubblicazioni. Negli ultimi anni ha scritto per la rubrica In Arte, trattando di mostre, teatro e arti letterarie a Roma, collaborando con istituzioni come le Scuderie del Quirinale e i Musei Vaticani. Ha recensito spettacoli teatrali, con particolare attenzione al musical e alla prosa, ed è accreditato presso i principali teatri italiani. La sua competenza lo ha reso un ospite frequente in programmi televisivi culturali, oltre a ricoprire il ruolo di giudice permanente per il Premio Letterario Andrea Camilleri. Attraverso i social media, promuove l’arte e la bellezza, fondendo abilmente leggerezza e profondità, rendendo questi temi accessibili a un vasto pubblico.

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