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Senigallia, Rocca Roveresca: “La forma dell’oro. Storie di gioielli dall’Italia antica”

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Nelle sale della Rocca Roveresca di Senigallia, dall’architettura fortificata del Quattrocento, si inaugura dal 12 giugno 2025 una rassegna dal profilo eminentemente archeologico, che si configura come un compendio dell’ornamentazione preziosa nell’Italia antica: La forma dell’oro. Storie di gioielli dall’Italia antica. Curata da Massimo Osanna e Luana Toniolo, la mostra si propone come dispositivo interpretativo per la rilettura delle culture peninsulari e insulari attraverso il loro lessico decorativo e simbolico.

Distribuita su due livelli espositivi, la rassegna riunisce oltre quattrocento reperti selezionati secondo un criterio tipologico e stratigrafico, provenienti da contesti databili dalla Preistoria all’Alto Medioevo. L’ampiezza cronologica e geografica del corpus consente una lettura diacronica dei sistemi orafi nell’Italia antica, ponendo in dialogo ambiti produttivi diversificati per tecniche, materiali, funzioni e significati. Tra le aree rappresentate: la Sardegna nuragica, le culture protovillanoviane, l’Italia centro-meridionale di età orientalizzante e arcaica, il mondo etrusco-laziale, e i territori apulo-lucani, fino ai manufatti di committenza longobarda.

I materiali impiegati spaziano dall’oro — metallo carico di valenze simboliche e status-related — al bronzo, al ferro, all’argento, con inserti in ambra baltica, paste vitree, coralli, conchiglie e materiali organici (ossa e denti). L’adozione di tecniche come la granulazione, la filigrana, la fusione a cera persa e la martellatura testimonia un’elevata competenza artigianale, in parte autoctona, in parte frutto di transfert tecnologici da aree egee, fenicie, e successivamente romane e bizantine. L’arte orafa, pertanto, emerge come veicolo di trasmissione culturale e indicatore di scambi a lungo raggio nel bacino mediterraneo.

L’intervento museografico, concepito secondo i più aggiornati parametri di conservazione e accessibilità, è stato reso possibile grazie al completamento dei lavori di adeguamento climatico e impiantistico della Rocca, finanziati attraverso i fondi PNRR. Questa riconfigurazione ha trasformato il manufatto difensivo in un contenitore funzionale alla fruizione scientifica e pubblica del patrimonio.

La mostra si inscrive in un più ampio progetto del Sistema Museale Nazionale, promosso in sinergia con le Direzioni Regionali Musei della Sardegna, Campania, Calabria, Molise, Marche, Puglia, Basilicata e con il Parco Archeologico di Pompei. Dopo le prime tappe presso il Museo Nazionale Archeologico “Giovanni Antonio Sanna” di Sassari e il Museo di Santa Maria delle Monache a Isernia, l’approdo a Senigallia assume un significato di convergenza tra rigore archeologico e vocazione territoriale. Non a caso, l’esposizione è stata affiancata da una sezione fotografica che dialoga con il contesto urbano e valorizza la recente designazione di Senigallia come “Città della fotografia”.

Il percorso espositivo è concepito come un itinerario conoscitivo stratificato: ai manufatti vengono accostate didascalie analitiche e pannelli scientifici che illustrano non solo la funzione d’uso, ma anche le modalità di rinvenimento, il contesto funerario o votivo, e il significato rituale. In particolare, la scelta di inserire elementi accessibili — come la riproduzione tattile di alcuni oggetti — apre a una riflessione sull’accessibilità museale e sul museo come luogo di inclusione cognitiva e sensoriale.

Sotto il profilo scientifico, l’oro e i gioielli qui esposti assumono valenze multiple: sono documenti di status, segni di appartenenza etnica, indicatori di ruolo sessuale e sociale, e oggetti di intermediazione simbolica tra il vivente e il trascendente. La loro funzione votiva o apotropaica si manifesta, ad esempio, nella presenza di pendenti a forma fallica, amuleti, fibule e oggetti portafortuna, talvolta accompagnati da iscrizioni o iconografie astratte. Diversamente, in contesti funerari, gli ornamenti acquisiscono un valore di marcatore identitario e di ponte con l’aldilà, come attestano le sepolture femminili delle necropoli etrusche e quelle della cultura di Golasecca.

Di particolare rilievo è la sezione dedicata alla tarda antichità, che documenta la trasformazione dell’ornamento in chiave cristiana e tardo-imperiale, con l’emergere di iconografie legate al culto dei martiri e all’autorappresentazione delle élite senatoriali. Anche il periodo altomedievale è documentato da raffinati reperti provenienti da corredi longobardi, in cui la preziosità si coniuga a simboli di potere e continuità dinastica.

Nel complesso, l’operazione espositiva rappresenta un caso esemplare di museologia diffusa e integrata: i reperti — per lo più solitamente conservati nei depositi di musei minori — sono riattivati nel loro potenziale comunicativo grazie a un progetto curatoriale che supera il mero accumulo collezionistico e restituisce loro una dimensione narrativa. Si tratta di una vera e propria archeologia dell’ornamento, dove la bellezza non è mai scissa dalla funzione e dal contesto culturale.

Questa mostra, dunque, non si limita ad affascinare per la brillantezza dell’oro o l’eleganza formale dei manufatti, ma propone una riflessione complessa sulle culture materiali, sulla semantica del corpo adornato, e sulla possibilità, per l’archeologia contemporanea, di farsi strumento di dialogo tra passato e presente. Un’occasione per decifrare l’oro non solo come metallo, ma come codice culturale, riflesso delle dinamiche sociali, economiche e spirituali di popolazioni antiche che hanno lasciato in queste forme, ora esposte alla Rocca Roveresca, una delle più brillanti testimonianze della loro civiltà.

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Scritto da
Davide Oliviero -

Laureato in discipline umanistiche presso l'Università di Bologna sotto la guida del Professor Umberto Eco, ha avviato la sua carriera nell'archeologia classica, concentrandosi sulla drammaturgia greco-romana. Il suo interesse per il design lo ha spinto a seguire un corso triennale in design d’interni, continuando nel contempo a lavorare nel campo archeologico. Col tempo, ha sviluppato una passione per la scrittura e la musica classica, che lo ha portato a recensire opere liriche per 14 anni in teatri prestigiosi come il Teatro alla Scala, il Covent Garden e l’Opéra di Parigi. Ha inoltre curato contenuti culturali e musicali per diverse pubblicazioni. Negli ultimi anni ha scritto per la rubrica In Arte, trattando di mostre, teatro e arti letterarie a Roma, collaborando con istituzioni come le Scuderie del Quirinale e i Musei Vaticani. Ha recensito spettacoli teatrali, con particolare attenzione al musical e alla prosa, ed è accreditato presso i principali teatri italiani. La sua competenza lo ha reso un ospite frequente in programmi televisivi culturali, oltre a ricoprire il ruolo di giudice permanente per il Premio Letterario Andrea Camilleri. Attraverso i social media, promuove l’arte e la bellezza, fondendo abilmente leggerezza e profondità, rendendo questi temi accessibili a un vasto pubblico.

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