Dal Museo Egizio del Cairo a Roma, una selezione di 130 capolavori esplora la funzione simbolica e l’ideologia della regalità nella civiltà faraonica.
Nel cuore delle Scuderie del Quirinale, dal 24 ottobre 2025 al 3 maggio 2026, si apre un percorso che trascende la semplice esposizione museale per configurarsi come un esercizio di lettura dell’universo egizio secondo la sua grammatica originale: un sistema simbolico complesso, dove l’arte e l’artigianato, la scrittura e il culto, la morte e il potere costituiscono elementi interdipendenti di un ordine ontologicamente fondato. La mostra Tesori dei Faraoni, promossa dal Supreme Council of Antiquities della Repubblica Araba d’Egitto con il coordinamento scientifico del curatore Tarek El Awady, propone oltre 130 reperti provenienti da istituzioni egiziane quali il Museo Egizio del Cairo, il Museo di Luxor, nonché dal Museo Egizio di Torino, restituendo al pubblico una visione stratificata della regalità sacra e della struttura ideologica che la sottende.
Organizzata in sei sezioni tematiche, l’esposizione si articola lungo un asse interpretativo che coniuga rigore archeologico e consapevolezza storica. Le sezioni coprono la formazione dello Stato egizio, la concezione teocratica del potere, le pratiche funerarie, le manifestazioni artistiche connesse alla regalità, gli aspetti della vita quotidiana e, infine, le recenti scoperte archeologiche, tra cui spicca l’insediamento urbano denominato “Città d’Oro”, attribuito ad Amenhotep III.
Lungi dal proporre una successione di oggetti isolati, la mostra restituisce un contesto intellettualmente coerente: le opere esposte non sono meri manufatti, ma agenti culturali in grado di esplicitare la visione egizia del mondo, in cui la dimensione visuale, testuale e rituale si integrano funzionalmente. Ne è un esempio paradigmatico la Triade di Micerino, statua di epoca menfita in cui la figura del sovrano è affiancata dalla dea Hathor e dalla personificazione di un nomo regionale. L’opera, pur nella sua essenzialità stilistica, comunica la natura stessa del faraone come garante del maat, l’ordine cosmico. La regolarità delle proporzioni e la frontalità delle figure sono strumenti formali per affermare un principio ontologico, non per descrivere una scena storica.
Analogamente, la maschera funeraria d’oro di Amenemope testimonia la trasformazione rituale del defunto in essere divinizzato, mediante l’uso dell’oro — metallo simbolicamente associato al sole e alla sfera immortale — e della forma frontale che isola il volto in una sospensione senza tempo. Il sarcofago della regina Ahhotep, la Collana delle Mosche d’Oro e la copertura funeraria di Psusennes I illustrano altresì la continuità del paradigma iconografico egizio, in cui la funzione liturgica dell’oggetto prevale su ogni intento estetico autonomo.
Particolarmente interessante, per l’approccio prosopografico e sociale, è la sezione dedicata alla Città d’Oro: un centro amministrativo e produttivo recentemente portato alla luce nella regione tebana. I reperti qui esposti — ceramiche d’uso, strumenti di lavoro, sigilli — contribuiscono a restituire un’immagine concreta delle dinamiche quotidiane all’interno della burocrazia statale del Nuovo Regno. Se la regalità faraonica è costruzione ideologica, è tuttavia l’azione minuta e strutturata delle classi artigiane e amministrative a garantire la sua continuità operativa.
Tra i prestiti concessi dal Museo Egizio di Torino, spicca la Mensa Isiaca, un oggetto d’età imperiale romana concepito in imitazione dell’iconografia egiziana, ma rielaborato in chiave ermetica e sincretica. Il manufatto, sebbene post-egizio, è testimonianza della ricezione culturale dell’Egitto come luogo di sapienza esoterica nell’immaginario occidentale. Come ha ricordato il direttore del Museo Egizio Christian Greco, “la Mensa Isiaca è un documento della fortuna dell’Egitto nella cultura europea. Il suo ritorno a Roma assume un valore non solo storico, ma anche metalinguistico”.
L’allestimento presso le Scuderie del Quirinale, adiacente al Palazzo Presidenziale e situato nel cuore istituzionale della Repubblica Italiana, conferisce ulteriore pregnanza all’iniziativa. Come osservato da Matteo Lafranconi, direttore delle Scuderie: “Accogliere i reperti egizi in questo luogo significa restituire all’antico una funzione di riflessione sul presente: la mostra è anche un dispositivo critico che interroga il nostro rapporto con il potere, la memoria e il tempo”.
Sul piano politico-culturale, l’iniziativa si inserisce all’interno delle strategie promosse dal Piano Mattei per il Mediterraneo, come ribadito dal Ministro della Cultura Alessandro Giuli: “Mostre come Tesori dei Faraoni non sono soltanto operazioni di valorizzazione museale, ma atti diplomatici fondati sulla conoscenza reciproca. L’Italia ha la responsabilità storica di essere ponte culturale tra le sponde del Mediterraneo”.
Fondamentale anche il ruolo di Ales SpA, società in house del Ministero della Cultura, come evidenziato dal Presidente Fabio Tagliaferri: “Questa mostra è il risultato di un progetto che unisce alta formazione scientifica, cooperazione istituzionale e capacità organizzativa. Il nostro obiettivo è rendere le Scuderie del Quirinale un modello espositivo di riferimento a livello europeo”.
Nel suo insieme, Tesori dei Faraoni non si limita a documentare un passato, ma invita a comprendere la logica interna di una civiltà che concepiva il visibile come manifestazione dell’invisibile. È in questa direzione che l’archeologia assume, per riprendere le parole di Sergio Pernigotti, una funzione rivelativa: essa non illustra, ma interroga; non ripete, ma traduce. Ogni oggetto egizio non è mai ciò che mostra, ma ciò che richiama.
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