Ci sono momenti in cui l’arte ritorna non come eco, ma come campo magnetico, come polarità esatta tra pensiero e forma. È quanto accadrà a Parma, città di velluti visivi e memoria modernista, con l’arrivo di Giacomo Balla. Un universo di luce, mostra monografica che dal 5 ottobre 2025 al 2 febbraio 2026 trasformerà il Palazzo del Governatore in officina temporanea dell’immaginazione, laboratorio di risonanze storiche e invenzioni future. Si inaugurerà così l’accordo biennale tra il Comune di Parma e la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma: un’alleanza di lunga gittata, che non si limita a spostare opere ma istituisce, fin dal gesto inaugurale, un flusso di senso.
Il trasferimento di un corpus così denso – oltre sessanta opere in arrivo dalla GNAMC – non è un atto di diplomazia museale. È piuttosto il segnale di una mutazione nel modo di intendere la funzione pubblica dell’arte. Non più contenitore statico, ma dispositivo vivo, in grado di riscrivere la propria storia attraverso l’innesto con altri luoghi, altri occhi, altre temporalità. Renata Cristina Mazzantini, alla direzione della Galleria romana, guida l’operazione con piglio che è insieme strategico e critico: «Portiamo un progetto concepito dentro il museo, non un prodotto da esportazione. È la Galleria stessa che si sposta, con la sua ricerca, la sua autonomia, la sua responsabilità culturale».
A Parma dunque non arriveranno solo dipinti, ma la temperatura esatta di una visione curatoriale: quella condivisa da Mazzantini con Cesare Biasini Selvaggi, figura intellettuale da tempo impegnata nella riscrittura del canone, che in questa occasione costruisce un percorso espositivo non come narrazione lineare, ma come tensione continua tra le forze in gioco. Il suo è un gesto curatoriale che scardina l’aneddoto e restituisce alla pittura balliana il suo carattere originario: essere forma in movimento, geometria che pulsa, luce che interroga il mondo.
Balla non è qui il futurista da manuale, ma l’alchimista della percezione. Il corpus che sarà presentato – proveniente in gran parte dalle donazioni delle figlie dell’artista, Elica e Luce, tra il 1984 e il 1998 – sarà attraversato non come cronologia, ma come fenomenologia dello sguardo. La materia pittorica si dispiegherà in stadi, non in epoche: il realismo sociale e divisionista degli inizi (con opere come Nello specchio o Ritratto della madre) non sarà semplicemente un’anticamera, ma una soglia in cui già si manifesta quella qualità intermittente del vedere che in seguito deflagrerà nel dinamismo della linea-forza.
La mostra seguirà così un diagramma percettivo, non una didascalia storica. Dal polittico Dei viventi (1905) al trittico Affetti (1910), fino alla delicatissima Campagna romana del 1956, il tracciato si farà rete, circuito elettrico in cui il segno balliano si rivela non tanto come gesto formale, ma come funzione energetica. In questo senso la curatela – sostenuta anche dalla sensibilità analitica di Elena Gigli – opererà come filtro e amplificatore, permettendo al visitatore di attraversare non un “percorso museale” ma una zona di intermittenza simbolica.
A rendere possibile questa operazione, oltre alla GNAMC e al Comune di Parma, sarà un insieme di forze strutturali e istituzionali: la Fondazione Cariparma, Solares Fondazione delle Arti, il coordinamento scientifico di Simona Tosini Pizzetti. Ma il fulcro resta lo sguardo critico che alimenta il progetto. Biasini Selvaggi – che della curatela fa sempre un atto intellettuale, mai un atto illustrativo – afferma: «Non si tratta di spiegare Balla, ma di lasciarsi attraversare da ciò che in lui è ancora attivo. La sua ossessione per la luce, per la velocità, per l’energia è anche la nostra. Balla è un artista del XXI secolo intrappolato nel corpo del Novecento».
È in questo slittamento che si gioca la partita di Parma. Non nella celebrazione di una figura storicizzata, ma nella riattivazione del suo potenziale ancora irrisolto. La mostra, come un campo semantico, funzionerà da specchio critico anche per la città stessa, che attraverso questo progetto cercherà – come suggerisce il vicesindaco Lorenzo Lavagetto – una nuova centralità culturale: non come vetrina, ma come soglia di ascolto. Il Palazzo del Governatore non sarà scenografia, ma cassa armonica, luogo in cui l’opera d’arte ritrova la sua funzione non decorativa ma interrogativa.
Un universo di luce non sarà un titolo poetico, ma una dichiarazione di metodo. La luce in Balla non è superficie, ma struttura. Non è oggetto della rappresentazione, ma soggetto dell’opera. Rivederla oggi significa non tanto ammirare, quanto rimettere in moto. Rimettere in moto un’idea di modernità che non coincide più con l’ottimismo tecnologico, ma con il bisogno di ritrovare, nell’immagine, una forma di verità vibrante.
E così l’arte non ci racconta, ma ci attraversa. Balla non tornerà a Parma. Sarà Parma ad aprirsi a ciò che di Balla non è mai scomparso: il desiderio, il ritmo, l’urgenza di una visione.
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