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Il desiderio ha una forma: Antonio Grimaldi plasma l’edonismo del presente

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“La realtà non mi basta mai. Cerco qualcosa che sia più reale della realtà.”
— Pier Paolo Pasolini

Roma, in quell’ora smarginata in cui la luce si disfa come un pensiero lungo, la Casina Valadier si trasforma in un altare urbano. Le colonne neoclassiche non delimitano uno spazio, ma lo interrogano. I pini marittimi, immobili e silenziosi, sembrano inchinarsi al rito che sta per compiersi. Antonio Grimaldi non propone una sfilata: scrive una pagina nella carne del tempo. La città eterna osserva senza retorica, come un animale stanco ma ancora vigile, capace di distinguere ciò che ha peso da ciò che è solo superficie. Le modelle non entrano in scena: emergono. Dal fondo della luce, come figure prelevate da un sogno condiviso, avanzano senza fretta, con l’autorità muta di chi conosce la propria forma.

La collezione si chiama Edonismo Couture, ma non c’è alcun compiacimento. È un’edonismo consapevole, adulto, che non cerca l’applauso ma l’autenticità. Gli anni Ottanta, evocati senza nostalgia, offrono il loro spirito di emancipazione, di corpo liberato, di lusso vissuto non come ostentazione ma come affermazione dell’essere. Nulla qui è citazione: tutto è riflessione. Ventisette abiti compongono un racconto sobrio, misurato, essenziale. Ogni uscita è un atto. Ogni abito è una frase. Ogni tessuto, una parola carica di senso.

Le silhouette sono nette, composte, asciutte, ma capaci di un respiro profondo. Il velluto denso accoglie la luce come memoria; l’organza impalpabile si tende sul corpo come un pensiero che cerca forma; il crêpe cady drappeggiato scolpisce il movimento; il tulle, tagliato al laser, disegna rotondità che non seducono ma dichiarano. Le macro-rouches non decorano: stratificano. I petali geometrici, anch’essi laser-cut, non simulano la natura: la interpretano. Ogni linea, ogni interruzione del tessuto, ogni geometria asimmetrica, è una scelta. Non c’è nulla di retorico. Tutto è azione.

Un abito fucsia, avvolto interamente da piumaggio, irrompe come un grido nella quiete. Ma non è urlo di disperazione: è affermazione. Un corpo che si mostra per esistere, non per piacere. Il piumaggio è presenza e non leggerezza, massa e non fluttuazione. Come una nube compatta, l’abito occupa lo spazio, lo domina senza violenza. È figura e visione insieme. I cristalli, cuciti con precisione quasi chirurgica, non brillano: fendono. Ricami come ferite di luce. Frange che vibrano nel silenzio, in una danza che non ha bisogno di musica.

La direzione artistica di Damiano Orlando è sottrazione pura. Non costruisce una scena, la lascia respirare. Non impone un punto di vista, ma ne moltiplica i possibili. L’architettura della Casina, la luce naturale del tramonto, la profondità del terrazzo diventano elementi attivi di una narrazione senza parola. È un teatro senza dramma, ma con tutta la tensione del vero. Lo styling di Simone Guidarelli accompagna, non definisce. Ogni accostamento, ogni tono, ogni gesto stilistico è dettato da un ascolto profondo. Gli abiti non vengono completati, ma lasciati accadere. Non c’è il superfluo. Solo ciò che è necessario.

I dettagli non si ostentano. Si percepiscono. Le spalle scultoree, i cut-out drapés, le costruzioni architettoniche dei bustier e delle gonne non cercano la sorpresa, ma il significato. Il corpo, così com’è, viene preso sul serio. La couture non è più un sogno da rincorrere, ma una forma dell’essere presenti. E ogni modelle che attraversa lo spazio non lo fa per farsi guardare, ma per dichiarare: sono qui. Sono questa. Sono intera.

Grimaldi non veste un ideale: interpreta una realtà che non vuole più essere addolcita. Le sue donne – e i suoi abiti – camminano come chi conosce il peso della bellezza, e non ne ha paura. Il lusso non è più ornamento, ma espressione di un’intelligenza della forma. La couture, in questa visione, è lingua antica che ha imparato a parlare il presente. Senza cedere. Senza negarsi.

Quando l’ultima figura svanisce tra le colonne e Roma si distende sotto il cielo come un corpo stanco e splendido, resta un silenzio che sa di necessario. La moda, qui, non è passata: è rimasta.


Photocredit Press Antonio Grimaldi

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Scritto da
Davide Oliviero -

Laureato in discipline umanistiche presso l'Università di Bologna sotto la guida del Professor Umberto Eco, ha avviato la sua carriera nell'archeologia classica, concentrandosi sulla drammaturgia greco-romana. Il suo interesse per il design lo ha spinto a seguire un corso triennale in design d’interni, continuando nel contempo a lavorare nel campo archeologico. Col tempo, ha sviluppato una passione per la scrittura e la musica classica, che lo ha portato a recensire opere liriche per 14 anni in teatri prestigiosi come il Teatro alla Scala, il Covent Garden e l’Opéra di Parigi. Ha inoltre curato contenuti culturali e musicali per diverse pubblicazioni. Negli ultimi anni ha scritto per la rubrica In Arte, trattando di mostre, teatro e arti letterarie a Roma, collaborando con istituzioni come le Scuderie del Quirinale e i Musei Vaticani. Ha recensito spettacoli teatrali, con particolare attenzione al musical e alla prosa, ed è accreditato presso i principali teatri italiani. La sua competenza lo ha reso un ospite frequente in programmi televisivi culturali, oltre a ricoprire il ruolo di giudice permanente per il Premio Letterario Andrea Camilleri. Attraverso i social media, promuove l’arte e la bellezza, fondendo abilmente leggerezza e profondità, rendendo questi temi accessibili a un vasto pubblico.

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