Un raro esempio di edilizia pubblica imperiale riemerge nel cuore di Trastevere: affreschi, mosaici e architetture antiche raccontano il volto civile e collettivo della Roma del II secolo d.C., ora accessibile grazie a un accurato restauro promosso dalla Sovrintendenza Capitolina.
Nel cuore del Rione Trastevere, lungo la via Garibaldi, a ridosso della scalinata che conduce alla chiesa di San Pietro in Montorio, si cela uno degli ambienti archeologici più singolari e meno noti della Roma antica: una latrina pubblica risalente al II secolo d.C., oggi restituita alla città in una nuova veste grazie a un attento intervento di restauro. Scoperta nel 1963 in seguito al crollo di un tratto del muraglione che sosteneva il piazzale della chiesa, questa struttura igienica è un esempio raro di edilizia pubblica romana, conservatasi straordinariamente in loco e testimone silenziosa della quotidianità dell’Urbe.
L’ambiente, interamente scavato nel banco tufaceo della collina del Gianicolo, misura circa 7 metri di lunghezza per poco meno di 2 di larghezza ed è coperto da una volta a botte in opera laterizia. Un piccolo vano absidato e un cunicolo cieco ne completano la pianta, conferendo alla latrina una articolazione spaziale ben definita e funzionale. Le murature interne sono realizzate in opera reticolata con ricorsi di laterizi, una tecnica tipica del periodo, che sottolinea la cura costruttiva anche per edifici a uso comune.
Elemento di particolare rilievo è il pavimento, decorato con un mosaico geometrico in bianco e nero, ancora leggibile nella sua composizione di tessere a motivi romboidali. Ma è soprattutto la parete di fondo a catturare l’attenzione: una serie di sedute disposte ad angolo, realizzate in muratura e rivestite in marmo (oggi in parte perduto), svela la destinazione d’uso dell’ambiente. Un canale di scolo, costituito da lastre di bipedali poste a formare una canaletta continua lungo il margine interno delle sedute, garantiva il deflusso delle acque. Il soffitto e le pareti presentano ancora tracce di affreschi geometrici su fondo bianco, che decoravano l’ambiente conferendogli un tono dignitoso nonostante la sua funzione. Durante le recenti indagini, è stato possibile individuare sotto lo strato decorativo visibile una fase pittorica più antica, con motivi floreali, candelabri e figure fantastiche, databile alla seconda metà del I secolo d.C., che testimonia un uso continuato e aggiornato dello spazio.
L’interesse archeologico di questa latrina va ben oltre la sua funzione. In un contesto urbano come quello di Trastevere, dove le stratificazioni millenarie si mescolano alla vita quotidiana, il rinvenimento di un ambiente del genere rappresenta una finestra preziosa sulla dimensione materiale e sociale della Roma imperiale. Gli impianti igienico-sanitari pubblici, infatti, erano parte integrante della struttura urbana: luoghi di necessità ma anche di socialità, concepiti non come spazi marginali ma come presidi collettivi del vivere civile. La cura nelle decorazioni, la presenza di affreschi e mosaici, l’uso del marmo, tutto concorre a restituire l’immagine di una civiltà in cui anche il momento del bisogno trovava una cornice dignitosa.
La Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, che ha curato l’intero progetto di recupero, ha lavorato con rigore filologico e sensibilità contemporanea, restituendo l’ambiente alla città non come mero reperto, ma come luogo vivo di narrazione storica. L’intervento, concluso nell’ambito del progetto “Caput Mundi” con fondi del PNRR, ha riguardato la pulizia delle murature, la revisione delle stuccature, il restauro degli affreschi e del mosaico, il potenziamento dell’illuminazione e l’adeguamento dell’accessibilità per tutti i visitatori.
Ciò che sorprende è la capacità di questo piccolo ambiente – silenzioso, chiuso, quasi nascosto – di raccontare, con le sue superfici decorate e i suoi dettagli costruttivi, un’intera visione del mondo. Nella latrina romana di via Garibaldi, Roma ci mostra ancora una volta come il senso della civiltà si nasconda anche nei luoghi più inaspettati, e come il rispetto per la storia possa tradursi in una forma di bellezza condivisa. Il restauro non ha fatto altro che rivelarlo, riportando alla luce non solo un ambiente, ma un intero modo di pensare lo spazio pubblico.