Dopo vent’anni di attesa e oltre un miliardo di dollari investiti, il Grand Egyptian Museum apre le sue porte ai piedi di Giza: un tempio della memoria dove l’antico si fa racconto contemporaneo e l’Egitto riafferma, nel linguaggio dell’architettura, la propria idea di civiltà.
Nel silenzio sospeso della piana di Giza, dove l’aria del deserto si mescola all’eco delle dinastie perdute e la luce scivola sulle geometrie delle piramidi come su immense clessidre di pietra, sorge oggi un monumento che non appartiene più soltanto al passato ma al tempo stesso che lo guarda. Il Grand Egyptian Museum – il GEM – è stato inaugurato ufficialmente il 1° novembre 2025, con una cerimonia di Stato alla presenza del presidente Abdel Fattah el-Sisi, di numerose delegazioni internazionali e, tra queste, delle autorità italiane. Il Ministro della Cultura Alessandro Giuli ed il direttore del Museo Egizio di Torino, Christian Greco, hanno rappresentato l’Italia in quello che è già considerato uno degli eventi culturali più significativi del secolo. È un gesto simbolico: l’Italia, patria della moderna egittologia e protagonista di missioni archeologiche da oltre un secolo, riafferma il proprio legame con la terra dei faraoni nel giorno in cui l’Egitto si riconsegna alla sua eternità.
L’apertura del GEM non è un semplice evento museale ma un atto fondativo. Sorge a poco più di due chilometri dalle piramidi di Cheope, Chefren e Micerino, in un punto in cui la linea del deserto incontra quella dell’orizzonte urbano del Cairo. È il luogo dove l’antico e il moderno, l’archeologia e l’architettura, la scienza e il mito si fondono in una grammatica comune. Lo studio irlandese Heneghan Peng Architects ha concepito l’edificio come un prolungamento della necropoli di Giza: la grande facciata triangolare in pietra calcarea, inclinata secondo l’asse solare delle piramidi, diventa un portale che incornicia la memoria. L’interno è una progressione di luce e materia: il colosso di Ramesse II, alto dodici metri e pesante ottantatré tonnellate, accoglie i visitatori in un atrio immenso che riflette i toni ocra della sabbia. Dietro di lui si apre la Grand Staircase, un percorso ascensionale che dispone lungo le rampe statue regali, steli e architetture sacre, conducendo verso le gallerie espositive superiori. È un’esperienza concepita non come visita ma come rito di iniziazione: si entra nel museo come in una camera sepolcrale, si sale come in un percorso verso l’immortalità.
L’insieme delle collezioni è vertiginoso. Oltre centomila reperti raccontano la storia materiale dell’Egitto dal Predinastico all’epoca romana. In questo continuum, il cuore pulsante è la collezione di Tutankhamon: più di cinquemila oggetti provenienti dalla sua tomba, per la prima volta esposti integralmente in un solo luogo. Si tratta di una restituzione filologica della camera funeraria scoperta da Howard Carter nel 1922: dai carri cerimoniali alle armi rituali, dai gioielli alle statue lignee, fino al celeberrimo mascherone d’oro. Tutto è disposto come se il visitatore potesse attraversare il tempo e ritrovarsi al fianco del faraone nel suo viaggio verso l’Aldilà. L’allestimento museografico, curato da un’équipe internazionale di archeologi e conservatori, adotta criteri di climatizzazione e illuminazione che consentono la lettura dettagliata dei materiali, senza comprometterne la conservazione.
Ma il GEM non è soltanto un luogo di esposizione. È anche un centro di ricerca e restauro di avanguardia, destinato a diventare uno dei più importanti del mondo per la tutela del patrimonio archeologico. I laboratori sotterranei, visibili in parte ai visitatori, ospitano équipe di studiosi egiziani e stranieri che lavorano su mummie, tessuti, pigmenti, metalli e legni antichi. Ogni sezione è dotata di sistemi diagnostici digitali, microscopi elettronici e camere di dissalazione, permettendo interventi di conservazione mai tentati su scala così ampia. Accanto alle sale permanenti, vi sono archivi documentari, una biblioteca scientifica, un museo per bambini e un centro educativo che traduce la ricerca in esperienza divulgativa.
Dal punto di vista archeologico, il valore del GEM è duplice: da un lato concentra in un solo spazio reperti provenienti da scavi storici dispersi tra il vecchio Museo di Piazza Tahrir, Saqqara e Luxor; dall’altro rinnova il paradigma della musealizzazione, restituendo agli oggetti la loro dimensione di contesto. Non più singole reliquie esposte come trofei del passato, ma elementi di un tessuto vivente, dove la storia viene narrata attraverso relazioni. Ogni sala è pensata come una “camera del tempo”: le sezioni dedicate alla Regalità, alla Vita quotidiana, alla Religione e all’Aldilà si susseguono in modo da ricreare la coerenza simbolica della civiltà egizia. Le iscrizioni geroglifiche, riprodotte sulle pareti come segni di passaggio, fungono da sutura tra i diversi spazi, restituendo la sensazione di una scrittura continua della storia.
Le aspettative che accompagnano questa inaugurazione sono imponenti. Il governo egiziano punta a farne il principale polo culturale e turistico del Paese, capace di accogliere fino a sette milioni di visitatori l’anno e di trasformare la piana di Giza in un distretto integrato del turismo archeologico. L’obiettivo non è solo economico: si tratta di un progetto di identità nazionale, un modo per riaffermare, attraverso la monumentalità della cultura, il ruolo dell’Egitto come culla di civiltà. La costruzione, costata oltre un miliardo di dollari, è stata sostenuta anche da prestiti e donazioni internazionali, in particolare dal Giappone, che ha fornito parte dei finanziamenti e delle tecnologie di restauro.
La visita al Cairo del ministro Giuli si inserisce in un quadro di rapporti culturali di grande rilievo tra Italia ed Egitto, culminati con lo scorso 23 ottobre, quando alle Scuderie del Quirinale, alla presenza dello stesso Ministro della Cultura Alessandro Giuli e di Sherif Fathy, Ministro del Turismo e delle Antichità d’Egitto, si è aperta la mostra Tesori dei Faraoni. Attualmente la collaborazione tra Italia ed Egitto in ambito culturale spazia dall’archeologia al cinema e all’audiovisivo. Le consolidate relazioni tra i due Paesi testimoniano il successo e la rilevanza dei rapporti di diplomazia culturale nel contesto del Piano Mattei per l’Africa. In questa prospettiva, lo sguardo del Ministero della Cultura abbraccia molteplici rapporti di cooperazione con diversi paesi africani, segno di consapevolezza e attenzione della cultura italiana per la matrice del Mediterraneo allargato e per l’Africa.
Durante la cerimonia inaugurale, il clima era quello delle grandi occasioni: il presidente el-Sisi ha definito il museo “un ponte tra il passato e il futuro”, mentre il direttore generale del GEM ha ricordato come l’intero progetto sia stato pensato non per glorificare il potere ma per celebrare l’uomo e la sua capacità di costruire. Tra i presenti si sono alternati capi di Stato, ministri della cultura, direttori di musei e archeologi provenienti da tutto il mondo.
L’impatto visivo e concettuale dell’edificio è tale da superare il confine tra museo e monumento. La sua architettura – una sequenza di volumi inclinati, piani di vetro e pietra, aperture che incorniciano le piramidi – sembra evocare il principio stesso della “costruzione per l’eternità” che animava l’antico Egitto. Le luci del tramonto, riflettendosi sulle superfici, restituiscono la sensazione che le sabbie del deserto si fondano con la materia del museo. Tutto parla di continuità: ciò che fu costruito per durare migliaia di anni trova oggi una nuova forma nella modernità.
C’è, in questa inaugurazione, un valore che trascende la dimensione culturale: il GEM diventa simbolo di diplomazia archeologica. Ogni reperto, ogni sala, ogni collaborazione internazionale testimonia come la conoscenza del passato possa unire più di quanto divida. È un messaggio politico e spirituale insieme: ricordare che l’archeologia non è solo scavo di rovine, ma costruzione di ponti tra epoche e popoli. In questo senso, la presenza italiana acquista un significato ulteriore: è un atto di riconoscenza verso una civiltà che, cinque millenni fa, gettò le basi del Mediterraneo culturale a cui ancora apparteniamo.

Passeggiare nel GEM significa attraversare un poema di pietra. L’odore della sabbia, la luce filtrata, il silenzio sospeso delle gallerie evocano l’esperienza dei primi esploratori, ma in un contesto che ne ha sublimato il senso. Qui il visitatore non è spettatore, ma testimone di un dialogo ininterrotto fra l’antico e il contemporaneo. Ogni oggetto – che sia un sarcofago in legno d’acacia, una statuetta di divinità, una tavoletta di scrittura o un frammento di tessuto – non rappresenta solo un frammento di passato, ma un atto di permanenza.

Alla fine del percorso, quando la vista si apre di nuovo verso l’esterno e le piramidi appaiono inquadrate come in un teatro naturale, si percepisce il senso ultimo del progetto: l’Egitto non è un ricordo, ma una presenza. Il Grand Egyptian Museum non è la celebrazione di un mondo finito, ma la prova vivente che la civiltà può essere eterna solo se continua a rigenerarsi. In quell’incontro tra sabbia e vetro, tra luce e pietra, tra modernità e mito, il visitatore comprende che il tempo, in Egitto, non scorre mai davvero: si avvolge, ritorna e ci accoglie come un padre che non ha mai smesso di vigilare sui propri figli. Così il GEM, più che museo, è una promessa mantenuta: la promessa che la bellezza, quando è custodita con intelligenza e rispetto, può davvero sfidare l’eternità.




