Dal gospel viscerale al rock da osteria, Zucchero incendia il Circo Massimo con un live epico tra nostalgia e delirio, e porta con sé un ospite d’eccezione: Russell Crowe in versione gladiatore del soul.
Le pietre del Circo Massimo non tremavano così dai tempi dei carri imperiali. Ma ieri sera, al calar del sole, è stato Zucchero Fornaciari a far vibrare l’antico cuore della Capitale, trasformando l’arena più storica d’Italia in una cattedrale del blues sporco e del soul lascivo. Prima tappa romana del tour Overdose d’Amore, e l’impressione, già dalle prime note, è che nessuno abbia intenzione di uscirne sobrio.
Migliaia di fan, dai sessantenni con le magliette “Oro Incenso & Birra” agli adolescenti inciampati in “Senza una donna” su TikTok, hanno riempito l’immenso spiazzo romano fin dalle prime luci della sera. Alle 21 in punto, senza troppi orpelli, è iniziata la messa laica di Zucchero: una scaletta da pelle d’oca, condita da riff gospel, graffi rock, e quel groove da osteria del Mississippi che ormai è il suo marchio di fabbrica.

Apre le danze con “Oh, Doctor Jesus”, che è un battesimo in piena regola: cori da chiesa, basso pulsante, l’odore (ideale) di bourbon che aleggia sopra le teste. Poi il ritmo accelera con “Spirito nel buio” e “Soul Mama”, mentre il palco esplode di luci calde e strumenti vintage: fiati, hammond, slide guitar. Zucchero non canta, predica.
E Roma ascolta.
“Il mare impetuoso…” arriva come una poesia impastata di sabbia e sogni, mentre con “Una come te” e “Partigiano Reggiano” il pubblico comincia a muoversi: sono inni, inni veri, scritti con il sudore di chi ha visto gli eccessi e ha scelto di raccontarli con sarcasmo e tenerezza. E mentre “Vedo nero” e “Pene” provocano risate e sussulti (sì, ha detto proprio pene, e sì, il pubblico ha applaudito), Zucchero se la gode. Dirige, gioca, irride. È il capitano di un galeone soul che punta dritto al cuore della notte.
Ma poi arriva la sorpresa. E no, non è solo una sorpresa, è un’entrata da kolossal hollywoodiano: Russell Crowe, il Gladiatore in carne, ossa e barba, sale sul palco e duetta con Zucchero in una versione da brividi di “Just Breathe” e “Miserere”. Due voci ruvide, due mondi: l’Emilia sgangherata e l’Australia baritonale si stringono la mano. Il pubblico esplode. Qualcuno piange. E se Crowe è il leone, Zucchero resta il domatore.

Il concerto prosegue come un flusso, un delirio orchestrato alla perfezione: “Baila (Sexy Thing)” incendia tutto, “Menta e rosmarino” riporta la poesia nei fianchi, “Donne” è il singalong inevitabile, “Diavolo in me” l’esorcismo collettivo che chiude la serata. In mezzo, omaggi ai Rolling Stones (“Jumpin’ Jack Flash”), Tina Turner (“Nutbush City Limits”) e quella “X colpa di chi?” che rimane una delle canzoni più democraticamente scatenate della musica italiana.
Il finale è dolce come la grappa dopo una notte insonne: “Diamante”, con i telefoni accesi a far da costellazione romana, chiude il cerchio. Nessuno si muove. Nessuno vuole che finisca. Ma Zucchero se ne va, lasciando solo polvere e batticuore.

Il tour continua, ma Roma è stata l’altare. Tra chitarre in fiamme e voci spezzate, tra i sandali dei turisti e le lacrime degli irriducibili, il Circo Massimo ha visto un miracolo: non la resurrezione del rock, ma la sua ostinata sopravvivenza. E in tempi come questi, basta e avanza.
E stasera si replica. Stesso posto, stessa overdose. Ma l’amore – si sa – quando è così, non fa mai male due volte nello stesso modo.