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PM23: anatomia di un rosso sistemico

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Un nuovo spazio romano firmato Valentino e Giammetti apre le porte con una mostra iper-estetizzante e autoconsapevole. Tra moda e arte, riflessioni (non sempre risolte) su identità e dispositivo culturale.

Roma non ha mai brillato per prontezza nel cogliere i linguaggi contemporanei. Ci riesce, talvolta, quando a parlare è il potere, sotto forma di bellezza ostentata. PM23, il nuovo spazio espositivo della Fondazione Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti, inaugurato con la mostra “Orizzonti | Rosso”, è proprio questo: una dichiarazione d’intenti tanto calibrata quanto patinata, un saggio su come la moda, anche fuori passerella, continui a produrre linguaggi visivi totalizzanti.

Lo spazio, già inaugurato con grande attenzione mediatica, ha aperto con la mostra inaugurale “Orizzonti | Rosso” e si presenta ora come un nuovo presidio culturale permanente nel cuore della capitale. L’indirizzo è Piazza Mignanelli 23, alle spalle di Trinità dei Monti. L’ex sede della Propaganda Fide è ora restituita alla città sotto una forma che non è propriamente museo, non galleria, non showroom, ma una piattaforma ibrida, curata e addomesticata fino all’ultimo centimetro. Un gesto estetico, prima ancora che culturale.

La mostra è curata da Anna Coliva e Pamela Golbin, due figure solide, capaci di costruire un racconto coerente sul rosso, cifra estetica per antonomasia della maison Valentino. In mostra, 50 abiti haute couture rossi (tutti bellissimi, tutti perfettamente fotografabili) dialogano con 30 opere di arte moderna e contemporanea. È un progetto intellettuale, prima che museografico, che si muove per associazioni visive e slittamenti semantici.

La selezione artistica non lesina nomi di peso: Jeff Koons, Andy Warhol, Picasso, Fontana, Twombly, Bacon, Basquiat, Louise Bourgeois, Schifano, Afro, Burri, Boetti. Il percorso parte in quarta con la scultura barocca di Koons e un Warhol che ritrae Valentino, per poi attraversare il secolo breve fino a un busto di Francesco Vezzoli che lacrima pigmento rosso: un finale emotivo e quasi autoreferenziale, in cui l’autocoscienza della messa in scena supera la messa in scena stessa.

Tutto, in PM23, è perfetto. Forse troppo. L’allestimento, firmato da Nemesi Architects, è curvilineo, silenzioso, epidermico. Marmi, acciaio, luce diffusa. Uno spazio che più che dialogare con l’arte, la incornicia. Ogni elemento è studiato per la performance visiva: i manichini iperrealistici con le fattezze di Natalia Vodianova trasformano l’abito in feticcio replicabile, tra statua e avatar. Ma la domanda, in fondo, resta: l’abito si umanizza o viene musealizzato a oltranza?

Questa è la tensione che percorre l’intero impianto. Il rosso è trattato come oggetto di analisi, ma anche come codice d’identità. Le cinque sezioni tematiche (bellezza, identità, superficie, paesaggio emozionale e orizzonti unici) sono più titoli evocativi che vere partiture concettuali. E se l’accostamento tra moda e arte genera corto circuiti visivi interessanti, non sempre questi trovano un corrispettivo critico adeguato.

Eppure PM23 funziona. Funziona perché è progettato come un display. Perché fa esattamente ciò che promette: rende la moda osservabile, leggibile, collezionabile. Senza eccedere in didascalismi. Senza prendersi troppo sul serio, ma nemmeno concedendosi all’autocompiacimento. Il limite, semmai, è strutturale: il linguaggio resta quello dell’iconografia della bellezza. Più che una mostra, è una superficie di proiezione.

C’è però anche onestà, e volontà di agire nel presente. La Fondazione Valentino e Giammetti, nata nel 2016 e finora attiva soprattutto in ambito filantropico, con PM23 compie il passaggio da beneficenza a mecenatismo culturale. L’ingresso gratuito nelle prime settimane non è carità, ma gesto politico. E la promessa di laboratori, talk, iniziative pubbliche è un segnale incoraggiante. La cultura della moda non si celebra, si produce. Anche in spazi pensati per contenere e diffondere immagini.

Difficile, in conclusione, dire se PM23 sarà un nuovo polo culturale per Roma o un episodio ben confezionato. Ma questo primo capitolo è rilevante: non tanto per quello che mostra, quanto per il modo in cui lo mostra. La moda entra nello spazio dell’arte con tutti i suoi codici: potere, immagine, desiderio. PM23 ne è specchio e amplificatore. Un luogo dove il rosso non è più solo una firma cromatica, ma una dichiarazione di presenza. PM23, Roma, 2025, Horizons Red, Photo Credit Whatever Milan

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Scritto da
Davide Oliviero -

Laureato in discipline umanistiche presso l'Università di Bologna sotto la guida del Professor Umberto Eco, ha avviato la sua carriera nell'archeologia classica, concentrandosi sulla drammaturgia greco-romana. Il suo interesse per il design lo ha spinto a seguire un corso triennale in design d’interni, continuando nel contempo a lavorare nel campo archeologico. Col tempo, ha sviluppato una passione per la scrittura e la musica classica, che lo ha portato a recensire opere liriche per 14 anni in teatri prestigiosi come il Teatro alla Scala, il Covent Garden e l’Opéra di Parigi. Ha inoltre curato contenuti culturali e musicali per diverse pubblicazioni. Negli ultimi anni ha scritto per la rubrica In Arte, trattando di mostre, teatro e arti letterarie a Roma, collaborando con istituzioni come le Scuderie del Quirinale e i Musei Vaticani. Ha recensito spettacoli teatrali, con particolare attenzione al musical e alla prosa, ed è accreditato presso i principali teatri italiani. La sua competenza lo ha reso un ospite frequente in programmi televisivi culturali, oltre a ricoprire il ruolo di giudice permanente per il Premio Letterario Andrea Camilleri. Attraverso i social media, promuove l’arte e la bellezza, fondendo abilmente leggerezza e profondità, rendendo questi temi accessibili a un vasto pubblico.

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