È una dichiarazione d’amore alla propria terra, ma anche un grido sussurrato di nostalgia e appartenenza: si intitola “‘O Mar ‘O Mar” il brano d’esordio di Revelè, giovane cantautore partenopeo che trasforma le radici in poesia. Uscito ieri, venerdì 18 luglio, e già disponibile in radio e sulle piattaforme digitali (ASCOLTALO QUI), il singolo segna il primo passo di un percorso musicale che fonde pop contemporaneo e tradizione mediterranea. Una preghiera moderna, come la definisce lui stesso, nata lontano da Napoli ma con il mare nel cuore. E proprio a Revelè, 4YouMag ha chiesto di raccontarsi, tra musica, sogni e verità senza maschere.
Come nasce il tuo nome d’arte?
Revelè è nato in una notte in cui avevo bisogno di raccontarmi senza filtri. È un nome che mi è venuto in mente come un sussurro, come un eco. Suonava fragile, sospeso, viscerale. È la forma più onesta che ho trovato per dire: “Ecco, questo sono io”. Revelè significa rivelarsi, senza maschere. È difficile mostrarsi per davvero, ma l’arte serve proprio a questo: a togliersi tutto e dire la verità.
La musica è stata per te una necessità. Vuoi raccontarci come ti sei avvicinato?
Sono cresciuto a Napoli, poi strappato dalla mia terra a 13 anni per trasferirmi a Bergamo. Mio padre era malato di cancro da quando avevo due anni, e se n’è andato quando ne avevo nove. Parlavo poco, ero balbuziente, ma la musica c’era. Quando mio padre metteva Bruce Springsteen io ballavo con mia sorella, e lì sentivo che il mio corpo trovava voce. Ho cominciato a scrivere per sopravvivere, per dare ordine al caos. Oggi scrivere, cantare e recitare è il mio modo di esistere.
Le tue origini influenzano molto il tuo sound. Napoli ha dato molto al panorama italiano. A chi ti ispiri?Da Pino Daniele ho preso la verità nella voce, da Mango la fragilità che vibra come forza. Da entrambi ho capito che si può cantare l’amore anche quando fa male. Mi ispiro anche a Springsteen per il modo in cui racconta la periferia come poesia. E poi mi lascio contaminare da ciò che mi circonda: l’urban, l’elettronica, la scrittura teatrale. Revelè nasce da una terra che non ha confini.
Quale è il tuo duetto dei sogni?
Mi piacerebbe duettare con Mahmood. Perché ha la capacità di trasformare la fragilità in forza, e perché nel suo canto c’è sempre un’identità forte, ma mai gridata. Sento che potremmo raccontare bene, insieme, una storia che parte dalle radici ma guarda oltre il confine.
Come ti vedi tra dieci anni?
Mi vedo ancora a scrivere, forse in una casa vicino al mare, con il rumore delle onde che entra dalla finestra. Spero di aver costruito un percorso onesto, coerente, fatto di musica, teatro, cinema e parole. Mi vedo in tour, tra palco e realtà, a raccontare storie a chi ha voglia di ascoltarle. E spero di aver trovato un mio pubblico: piccolo o grande, ma vero.
Sanremo è nei tuoi piani?
Sì. Ma non a tutti i costi. Vorrei arrivarci con una canzone che parli davvero di me, che abbia un’urgenza, un’identità. Sanremo è una vetrina importante, certo. Ma io vorrei portare lì la mia verità, non un compromesso. Se mai ci andrò, sarà perché quella canzone non può restare in silenzio.
—————————————————————
Chi è Revelè?
Giuseppe Cacciapuoti, classe 1997, in arte Revelè, è un artista, attore e autore partenopeo la cui ricerca abbraccia la musica, il teatro e la scrittura come forme complementari di una stessa tensione poetica. Il progetto mescola pop elettronico, sonorità urban, atmosfere cinematografiche e testi profondamente viscerali, in un dialogo costante tra fragilità e potenza. Durante l’adolescenza inizia a muovere i primi passi nella musica, lasciandosi ispirare dalle voci del cantautorato italiano, da Pino Daniele a Mango, che diventano presto la sua guida creativa.