Dalle borgate ai palcoscenici, dai salotti romani alla cella di Rebibbia, Franco Califano ha attraversato la vita con un’ironia tagliente e un’umanità che non ha mai smesso di dividere. “Nun ve trattengo“, il docufilm diretto da Francesca Romana Massaro e Francesco Antonio Mondini (Prodotto da Interlinea Film in collaborazione con Illmatic Film Group e Overtake e con il sostegno del Ministero della Cultura e distribuito da Europictures), prova a restituire questo intreccio di contraddizioni senza trasformarlo in agiografia. Presentato alla Festa del Cinema di Roma 2024 sarà nelle sale cinematografiche dall’8 al 10 settembre per tre date evento, il film sceglie la via della notte e della frammentazione per raccontare il “Califfo”.
La narrazione prende il via dagli studi di Radio Radicale, dove un omaggio in diretta fa da filo conduttore. Nel frattempo, Raffaele Vannoli, a bordo di un’auto d’epoca, percorre una Roma sospesa, quasi immobile, mentre nelle frequenze si alternano voci e testimonianze. Claudia Gerini, Francesco Rutelli, Barbara Palombelli, Maurizio Mattioli, Mita Medici, Alberto Laurenti, Enrico Giaretta, Antonio Mazzeo, ma anche nomi della scena urbana come Noyz Narcos, Franco126, Ketama126 e Federico Zampaglione: prospettive diverse che convergono nello stesso ricordo, ognuno con un aneddoto o un frammento di Califano da restituire.
Non c’è una cronologia, né la volontà di ordinare i tasselli di una carriera smisurata, fatta di oltre mille canzoni scritte per sé e per altri. Il film preferisce un montaggio emotivo, fatto di salti, luci contrastate e pause improvvise, proprio come lo era Califano: capace di unire la poesia alla strada, la malinconia alla sfrontatezza. Non un “santo” e nemmeno un “maledetto” per forza: semplicemente un uomo che non ha mai voluto smettere di raccontare.
Tra immagini d’archivio e ricordi personali, emerge la sua doppia natura: quella del poeta che sapeva trasformare anche il dettaglio più insignificante in storia, e quella dell’uomo segnato da processi, carcere, cadute. Sempre con un’ironia che gli permetteva di galleggiare sopra il buio. “Andavo a dormire cinque minuti dopo tutti, per avere cinque minuti in più da raccontare”, diceva. E forse è questo che il film restituisce meglio: la sua fame di vita.
All’interno del docufilm emergono anche episodi che restituiscono la misura del suo carattere, capace di spiazzare con naturalezza. Come quando, dopo un concerto a Montecarlo, ricevette l’invito a cena da parte della principessa Stéphanie di Monaco. Califano ringraziò, ma declinò l’invito: “Dopo i concerti io ceno sempre con la mia band. E domani c’è la partita dell’Inter”. Una risposta che univa fedeltà, ironia e la sua proverbiale schiettezza.
Un altro ricordo arriva da Federico Zampaglione, che racconta una scena quasi cinematografica. Durante un tragitto in macchina, Califano fermò l’auto per osservare il tramonto. Rimase in silenzio, fino a lasciarsi andare alle lacrime. Poi, con la sua voce inconfondibile, disse: “Io piango sempre quanno er sole muore”. Una frase semplice, che racchiude la sua fragilità poetica e la capacità di trasformare ogni emozione in racconto.
Nun ve trattengo non ha il passo del monumento, ma quello del racconto corale. Non cerca di trattenere Califano nella gabbia di un mito, lo lascia andare nella notte, affidandolo alle voci di chi l’ha conosciuto o solo amato da lontano. Un viaggio breve – 67 minuti – ma denso, che restituisce la sensazione di avere a che fare con qualcuno che non smette di farsi ricordare.